Il 19 marzo saranno passati cinque anni dall’attacco USA in Iraq, un attacco che secondo gli ultimi calcoli ha causato la morte di quasi un milione di persone. Questa guerra preventiva, lanciata senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e della comunità mondiale, ha impresso una nuova direzione alla politica internazionale. Oggi si parla apertamente di un attacco preventivo nucleare all’Iran.
Centinaia di miliardi di dollari forniti da noi contribuenti vengono spesi ogni anno per produrre armi e finanziare guerre. Solo la guerra in Iraq è costata ai cittadini degli Stati Uniti 500 miliardi di dollari. Vengono sviluppate nuove armi letali, anche atomiche. Oggi al mondo esistono circa 30.000 testate nucleari, sufficienti a distruggere il pianeta intero 25 volte.
In questa atmosfera bellicosa gli Stati Uniti propongono adesso un piano per allargare all’Europa il sistema di difesa missilistico con due nuove basi, una in Repubblica Ceca e una in Polonia. Questo pericoloso progetto acuisce le tensioni internazionali e porta a una nuova corsa agli armamenti.
Il progresso tecnologico avrebbe dovuto da tempo aiutare a risolvere il problema della povertà e invece ancora oggi 2,6 miliardi di persone – quasi la metà della popolazione del pianeta- vivono al di sotto del livello di povertà. I nostri governi puntano a privatizzare la sanità, l’istruzione e altri servizi. Viene promosso un modello di società che sottomette al denaro ogni aspetto della vita umana, senza prendere in considerazione la Dichiarazione dei diritti umani e i diritti che essa garantisce, come quello alla vita, all’istruzione, alle cure sanitarie, alla sicurezza e altri ancora. Negli ultimi anni il divario tra i ricchi e i poveri si è accentuato non solo tra il “nord ricco” e il “sud povero”, ma anche tra la popolazione di uno stesso paese. Stanno emergendo una minoranza ristretta e sempre più ricca e una maggioranza crescente e sempre più povera. Questa tendenza non può continuare a lungo. I nostri leader politici ci hanno dimostrato che la loro priorità non è la vita degli abitanti del pianeta, ma il proprio beneficio, o quello dei finanziatori delle loro campagne politiche. Per questo non possiamo più contare su questi uomini perché risolvano i problemi del mondo; dobbiamo cominciare noi a proporre soluzioni.
Molti in passato hanno dimostrato che nell’unione tra la gente e nella lotta nonviolenta esiste un grande potere. Mahatma Gandhi e Martin Luther King hanno fornito un esempio del fatto che nell’azione comune per il cambiamento siamo molto più forti dei nostri nemici, in apparenza più potenti di noi. Lo scrittore sudamericano Mario Rodriguez Cobos, detto Silo, sostenitore della nonviolenza attiva, lancia l’appello: “Diamo una possibilità alla pace!” Un movimento nonviolento ispirato da questi esempi è oggi presente in diverse parti del mondo.
Il 15 marzo di quest’anno ci uniremo in tutto il mondo per mostrare la nostra attiva resistenza ad un’ulteriore militarizzazione del pianeta e al disinteresse nei confronti dei veri problemi del mondo e soprattutto esprimeremo la nostra decisione di cominciare a creare il mondo che vogliamo: nonviolento, pacifico, davvero democratico, un mondo in cui i diritti umani siano rispettati e in cui ogni essere umano conti.
Jan Tamáš
Europe for Peace